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«Fuori dalla via della Seta ma senza fare danni. Il Parlamento lavori di più»- Corriere.it

«Fuori dalla via della Seta ma senza fare danni. Il Parlamento lavori di più»- Corriere.it

La Via della Seta si può sciogliere «senza fare danni». Il ministro della Difesa Guido Crosetto torna sul tema dei rapporti Italia-Cina. Sul Pnrr: bisogna raggiungere i target. Poi l’invito al Parlamento: deve lavorare di più.

C’è l’accordo con la Cina sulla via della Seta, da sciogliere «senza fare danni». C’è l’intesa con l’Europa sul Pnrr, che si porta dietro «problemi non ancora del tutto risolti» e che imporrà al Parlamento di «lavorare di più per raggiungere i target». Ma c’è anche la guerra, che è il dossier più importante per un ministro della Difesa.

«E purtroppo — spiega Guido Crosetto — nessuno sa quando finirà. La situazione, oggi è a un punto di stallo che ci obbliga a pensare a tempi lunghi, se non lunghissimi. E non lo dico certo con piacere. La controffensiva ucraina, come alcuni di noi avevano ipotizzato, ha trovato diverse difficoltà. Le trincee russe rendono difficili le azioni di attacco. Quindi, potrebbe essere una scelta politica a determinare la fine del conflitto. D’altronde, i tempi dei Paesi occidentali sono scanditi in modo diverso da quellio dei Paesi autocratici».

Le opinioni pubbliche in Occidente mostrano sempre più insofferenza verso il conflitto e sempre meno solidarietà verso gli aggrediti.
«Viviamo in un’era in cui se qualcosa disturba il tran-tran quotidiano ci fa dimenticare valori come la libertà e la democrazia. E questo atteggiamento ha un peso. Ma, paradossalmente, proprio questo è un elemento che potrebbe accelerare il processo di pace. E poi si avvicinano le presidenziali americane che potrebbero modificare la postura degli Stati Uniti».

Lì dove Joe Biden su Giorgia Meloni è passato dall’«avete visto cos’è successo con le elezioni in Italia» al «siamo amici».
«Il successo della visita alla Casa Bianca della premier è sotto gli occhi di tutti. Sono caduti i pregiudizi, grazie alle scelte fatte dal governo, a partire dai patti mantenuti con gli alleati. Me ne ero già accorto incontrando il mio omologo alla Difesa. Il calore anche umano di Giorgia e il modo affettuoso con cui Biden l’ha accolta, hanno fatto il resto».

Non teme che, una volta terminata la crisi ucraina, questo approccio verso Meloni possa cambiare?
«Oggi l’Italia è — tra i Paesi dell’Unione europea — l’alleato di cui a Washington si fidano di più, insieme alla Polonia. L’Italia non è solo affidabile ma si è dimostrata anche un partner visionario, chiedendo che l’Occidente si faccia carico dei destini dell’Africa. Quanto è accaduto in Niger, con il colpo di Stato, è il segno della guerra ibrida che si combatte sullo scacchiere internazionale. L’Africa è fondamentale per i futuri scenari: possiede il 50% delle intere risorse minerarie, il 50% delle risorse idriche, il 50% dei terreni agricoli. Fra venti anni avrà due miliardi e mezzo di abitanti. Potenzialmente, potrebbe avere il più grande esercito del mondo. E se non cambiasse il suo corso storico, con popolazioni affamate e senza futuro potrebbe succedere di tutto… Si capisce, quindi, che questo non è un tema ascrivibile solo all’immigrazione. Gli Usa hanno compreso la nostra posizione. Il loro atteggiamento nei nostri confronti è cambiato».

Magari perché sono interessati alla scelta che farete sull’accordo con la Cina.
«La scelta di aderire alla via della Seta fu un atto improvvisato e scellerato, fatto dal governo di Giuseppe Conte, che ha portato a un doppio risultato negativo. Noi abbiamo esportato un carico di arance in Cina, loro hanno triplicato in tre anni le esportazioni in Italia. La cosa più ridicola di allora fu che Parigi, senza firmare alcun trattato, in quei giorni vendette aerei a Pechino per decine di miliardi».

Siccome Meloni definì l’accordo un «grave errore», vuol dire che lo scioglierà.
«Il tema oggi è: tornare sui nostri passi senza danneggiare i rapporti. Perché è vero che la Cina è un competitor, ma è anche un partner. Non a caso la premier ha annunciato, e proprio dagli USA, che andrà in Cina».

Le pressioni di Pechino sono forti ed evidenti.
«Pechino ha atteggiamenti sempre più assertivi. Un tempo si proponeva di diventare il maggior attore commerciale del mondo. Oggi annuncia che sarà il più grande attore militare del mondo. Si stanno espandendo. In Africa hanno avviato un’espansione anche di tipo culturale: i fumetti descrivono i cinesi come liberatori e gli occidentali come sfruttatori da scacciare. Non nascondono i loro obiettivi, li esplicitano».

E pressano.
«Perciò dovremo venirne fuori senza produrre disastri. Uno dei problemi di questo governo è risolvere in silenzio problemi surreali prodotti da altri governi. Dalla Cina al Superbonus, è stato il festival del dilettantismo. Senza dimenticare il Pnrr».

Sul quale il vostro governo ha mostrato il fiato grosso.
«Ma erano stati commessi gravi errori, di cui si è accorto per primo Mario Draghi. Meloni e Raffaele Fitto stanno cercando di correggerli, pur nei limiti ristrettissimi imposti dalle regole europee».

Ritiene che a Bruxelles ci fossero dei sabotatori?
«Beh, i pregiudizi erano evidenti. Ma, come con gli Usa, anche in Europa sono caduti. E comunque sul Pnrr i problemi non sono del tutto risolti. Per esempio, siamo sicuri che le imprese chiamate a lavorare con il pubblico siano capaci di rispettare i tempi di consegna? Perciò secondo me va fatta una fidejussione».

Anche l’ Europa chiede garanzie al governo: sulla politica fiscale e sulle tematiche ambientali nutrono dubbi.
«Sul fisco il progetto del vice ministro Maurizio Leo ha un approccio pragmatico, non è fatto di condoni e non è ideologico. La parola d’ordine è: rompiamo di meno ai contribuenti e incassiamo di più. Sull’ambiente i nostri obiettivi non sono in contrasto con quelli che si pongono gli ambientalisti, ma sui metodi per realizzarli non siamo d’accordo: a forza di stressare il comparto auto, lo abbiamo regalato alla Cina».

A Bruxelles non si fidano nemmeno delle vostre capacità di realizzare in tempo i target: la riforma della giustizia, la riforma sanitaria, la riforma del fisco…
«La volontà politica c’è, i numeri in Parlamento ci sono. E dunque non credo ci sarebbero grandi problemi a raggiungere quei target, se le Camere si impegnassero con gli stessi ritmi del governo».

Ritiene che il Parlamento freni l’azione del governo?
«Sto dicendo che i lavori parlamentari hanno tempistiche antiquate, molto lente. Questa cattiva abitudine che il martedì si inizia a lavorare e il giovedì si finisce, la trovo irritante. Va aumentata la produttività. Lo dico con il rispetto verso i tanti parlamentari che lavorano e producono leggi. Ma il problema esiste».

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