di Antonio Foccillo
I tempi che viviamo richiedono chiarezza di idee e capacità di percepire i segnali che esprimono le attese (consce e inconsce) degli Uomini, perché sono le più autentiche generatrici del malessere complessivo che viene strumentalizzato per accrescere gli odi, per opporre tutto contro tutti, in un clima di profonda degenerazione.
Quando queste attese si identificano con bisogni materiali insopprimibili e legittimi desideri di libertà e di democrazia, se non trovano vie di sbocco provocano pericolose radicalizzazioni difficili da governare.
Quando sulla solidarietà prevale l’arbitrio e l’arroganza, il margine che resta alla speranza di un cambiamento positivo si restringe paurosamente.
Le lacerazioni esistenti all’interno di molti Stati e fra essi stessi (con le guerre) forse possono ancora essere ricucite, ma è necessario riportare ad ogni passo l’uso della ragione; è necessario ripristinare le regole di una civile convivenza.
Si può facilmente constatare che molte vicende che stanno succedendo nascono dalla crisi economica che ha colpito l’Occidente.
Purtroppo non da oggi, ma è già avviata da tempo una crisi del sistema, per effetto di uno strutturato processo di accumulazione capitalistica cominciato prima degli anni ‘70.
Infatti, la crisi economica che stiamo vivendo è iniziata nel 1968 con la rimessa in discussione del Welfare State, è continuata poi nel 1971, prima della crisi petrolifera, con la dichiarazione della non convertibilità del dollaro per affermare l’egemonia americana, che nel 1975 si è consolidata quando gli USA e i paesi occidentali hanno respinto il progetto di un nuovo ordine economico internazionale presentato dai paesi non allineati.
Infine si è ancor più rinforzata, nel periodo che va dal 1989 al 1991, di fronte al progetto gorbacioviano di perestroika e alla disgregazione dell’Europa dell’Est e allo sfaldamento dell’URSS.
Già nel 1970 la crescita economica e l’espansione dei mercati era notevolmente rallentata e, dal 1980 ad oggi, i maggiori paesi occidentali l’hanno gestita con nuovi sbocchi finanziari. In sostanza per evitare la svalutazione del capitale hanno adottato di volta in volta un insieme di misure sul cambio, sui tassi di interesse, sulle privatizzazioni, sulla deregulation.
Questa gestione della crisi da un lato ha accentuato la dicotomia del sistema Ovest – Est; dall’altro ha prodotto, all’interno dell’occidente, effetti sociali che rimettono in discussione innanzitutto i suoi stessi assetti politici.
Sono state approvate misure che assicurano forme di arricchimento senza passare attraverso il sistema produttivo e la finanziarizzazione si è portato con sé un aggravio enorme della disuguaglianza nella distribuzione interna del profitto, con la conseguenza di un arretramento delle stesse forme politiche ed economiche che erano tipiche delle democrazie occidentali.
Oggi la nuova forma di capitale finanziario reclama sempre maggiori utili in un contesto economico di globalizzazione caratterizzata da una concorrenza molto forte e dura, dove ognuno intende aumentare la produttività riducendo i costi.
Allora, affinché gli aspetti finanziari coincidano con gli interessi del capitale si opera la riduzione dei salari, dei contributi sociali e del sistema sociale nel suo insieme.
Infatti, la finanziarizzazione dell’economia ha disdetto lo Stato Sociale e ha imposto la priorità delle sue esigenze, fedelmente rispettate dalle classi dirigenti, perché queste priorità sono divenute il centro delle attività politiche ed economiche delle società neo-liberiste.
Così lo Stato si è fatto Profit State e sta smantellando tutte quelle conquiste sociali ottenute attraverso dure lotte del movimento operaio e dei movimenti sociali che si sono sviluppate in particolare negli anni ‘60 e ‘70. Tutto ciò determina drammatici fenomeni di rottura della fiducia nei confronti dei ceti politici e dello stesso Stato, nonché un profondo scollamento rispetto alle istituzioni.
La privatizzazione del pubblico impiego, dei servizi pubblici, la stessa aziendalizzazione di funzioni tipiche dello Stato Sociale, come l’istruzione, la sanità, ecc. stanno ovunque generando fenomeni di desocializzazione.
Ma ciò poco interessa al potere finanziario per il quale la crisi dello Stato Sociale rappresenta la crisi generale del compromesso capitale – lavoro perché il processo di internazionalizzazione dell’economia mondiale si fonda su una divisione del lavoro.
Inoltre non è accettata nessuna critica a questa ideologia, perché, per proteggere la sua realizzazione, è stata globalizzata anche la cultura del “disastro mondiale” che causerebbero coloro che non accettano le ricette del neoliberismo.
Allora la cultura del mercato selvaggio è diventata oggi quella della “salvezza dell’umanità”, poiché siamo sempre in procinto di un crollo dell’economia internazionale che riporterebbe anche i paesi occidentali a livelli di assoluta povertà.
Con questo messaggio si innesca il terrorismo sociale funzionale ai piani di ristrutturazione del capitale e alla ridefinizione di nuove aree di influenza.
Non a caso in Italia le manovre inique messa in atto a partire da Monti sono state spiegate come l’unica possibilità di salvezza del nostro Paese.
Purtroppo questo messaggio è stato fatto proprio anche dai governi di centro-sinistra, da alcuni ex leader di quel che resta del socialismo riformista, i quali hanno assunto le logiche neo liberiste come ultima possibilità di governo dell’umanità, in modo – come lucidamente suggerisce Milan Kundera – ”da poter ricevere un po’ d’avvenire in cambio del loro passato”.
La dittatura del liberismo senza limiti è testimoniata dalla capacità concessa ai mercati di poter deporre governi in carica, che non attuano in pieno le politiche neoliberiste, per sostituirlo con tecnici rispondenti alle loro necessità predatorie. È successo in alcuni Paesi dell’Europa, compreso l’Italia.
E la crisi economica, che non è un’anomalia, ma è sistemica nel processo di accumulazione capitalistica, è stata pagata tutta dai lavoratori, dai pensionati, dalla gente comune, perché, dall’altra parte si sono registrati incrementi dell’accumulazione di capitale mai visti prima.
Di conseguenza, le disuguaglianze di reddito e di condizioni di vita nei diversi paesi, anche quelli a capitalismo avanzato, si sono accentuate.
La stessa integrazione tra i paesi dell’Unione Europea non ha mai realizzato gli obiettivi dei loro fondatori. In aggiunta, le differenze tra i vari paesi UE ci fanno comprendere ancora più chiaramente che l’Europa non sia unita per niente.
Per “entrare” e restare nell’Europa dei finanzieri il prezzo pagato è stato ed è comunque troppo alto: aumento dei ritmi di lavoro, tagli ai salari reali, disoccupazione, lavoro precario, sottopagato, senza diritti, tagli allo stato sociale, aumento della povertà, emarginazione, peggioramento delle condizioni di vita.
E ci si lascia intendere che bisogna ancora pagare, anche oltre le accelerazioni già compiute che si sono spinte fino al limite veramente inaccettabile di tassare le pensioni, negandone l’adeguamento alla svalutazione, dando inizio ad un effettivo taglio, non solo delle pensioni future tutte al contributivo, ma anche delle pensioni in atto, come è previsto nella ultima legge finanziaria in approvazione.
Ma tutto ciò non desta meraviglia, già Comte scriveva: In ogni particolare repubblica, il governo propriamente detto, ossia il supremo potere temporale, apparterrà naturalmente ai tre principali banchieri.[1]
In definitiva il neo liberismo sta realizzando i suoi obiettivi, non tanto quello di un mercato anarchico dove, come sosteneva Hayek, il mio denaro è la mia scheda elettorale, ma quella di un capitalismo del debito, dove chi governa è il capitale finanziario, tramite i propri agenti.
Il sogno del capitalismo, descritto da Auguste Comte, si sta realizzando. La democrazia, per Comte, rimane relegata all’ordine metafisico, dato che si basa su astrazioni come la sovranità popolare o l’eguaglianza dei diritti che non coincidono con le conclusioni dell’osservazione scientifica e delle leggi che da esse derivano.
Tuttavia è difficile affermare che oggi viviamo sotto la dittatura del capitale poiché nei nostri paesi ci sono le elezioni e il popolo può cambiare la linea del governo.
Ma l’evoluzione del sistema ci ha portato a un completo svuotamento dei contenuti della politica nella prima fase (monetarista, de-regolamentatrice) della controrivoluzione neoliberista e, nella sua seconda fase dominata dall’economia del debito, ad una aperta sparizione delle forme democratiche, a uno stato di eccezione permanente.
La crisi della rappresentanza politica non è mai stata così avvertita e mai è stata più urgente e più sentita la necessità di rifondare la democrazia su una base diversa dal neo liberismo della finanza.
Tuttavia sono poche e isolate le voci che mettono in discussione il pensiero unico neoliberista e noi ci rendiamo conto delle difficoltà, ma, come suggerisce Seneca a Lucilio “A volte non è perché le cose siano difficili che non si osa, ma è perché non si osa che esse diventano difficili”.
Chi obbedisce acriticamente non si rende conto che la “crisi” è stata causata dalle istituzioni finanziarie, che chiedono a noi di salvare il sistema. Ma se non possiamo salvare il sistema ciò non ci impedisce di poterlo eliminare o sostituire. La cosa più ragionevole è rifiutarsi di salvarlo perché esso non soddisfa le nostre esigenze di libertà e di democrazia.
Viviamo un periodo di profonda insicurezza e di incertezza, bisogna ridare la fiducia nel domani. I buoni propositi non sono più sufficienti: al tempo delle speranze dobbiamo contrapporre il tempo delle azioni concrete.
Fare ciò che è possibile e anche di più, assumendo a livello individuale e collettivo ogni responsabilità per uscire da questa morta gora. È la funzione che noi, tutti noi, dobbiamo assolvere con impegno e sacrificio.
[1] C. Boni (a cura di), Auguste Comte, 2018, Catechismo positivista, Aracne, Roma
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