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Il futuro dei social network dipenderà dal successo (o flop) di Threads

Il futuro dei social network dipenderà dal successo (o flop) di Threads

Tempismo fa rima con business. A due settimane dal lancio, Threads – il nuovo social network di Meta che potrebbe soppiantare Twitter – continua a far parlare di sé. Dopo un anno all’insegna di risultati finanziari discutibili e scelte sbagliate (vedi gli investimenti nel metaverso), la compagnia di Mark Zuckerberg sembra aver trovato nuova linfa vitale grazie a un’idea tanto banale quanto azzeccata: una piattaforma per il microblogging concepita, realizzata e lanciata in un batter d’occhio.

Nonostante il vistoso calo degli utenti dopo l’iniziale ondata di entusiasmo (cento milioni di registrazioni nei primi cinque giorni dal lancio), Threads resta il principale candidato per prendere il posto dell’app di Elon Musk come agorà digitale per la discussione pubblica planetaria. Nei prossimi mesi dovrebbe arrivare anche in Europa, dove al momento non è disponibile per contrasto con le regole sulla concorrenza e sulla raccolta dei dati dell’Ue. 

In qualsiasi altro momento, un’applicazione del genere non avrebbe mai suscitato un simile entusiasmo. La prontezza del suo lancio è stata però impeccabile: solo pochi giorni prima, Musk aveva esasperato anche i più assidui frequentatori di Twitter, limitando le visualizzazioni dei tweet (massimo seicento) per gli utenti non disposti a pagare per la tanto vituperata spunta blu. L’insoddisfazione nei confronti del social dei cinguettii non è mai stata così alta come in questo momento e il frangente ha offerto a Meta un’occasione ghiotta per trasferire gli utenti scontenti da una piattaforma all’altra. Anche grazie alla sua immediatezza, dato che la nuova app del fondatore di Facebook è collegata all’infrastruttura di Instagram e il passaggio – letteralmente, il tap – da un ambiente all’altro risulta agile per i milioni di individui già registrati sul social fotografico nato nel 2010.

Threads, tuttavia, non rappresenta solo la trovata geniale di un’azienda che nell’ultimo periodo aveva deciso di investire miliardi in scomodi visori per una realtà virtuale popolata da avatar grotteschi. È anche una scommessa sul futuro dei social media e di come intendiamo Internet in generale.

Benvenuti nel fediverso
Meta ha promesso che la sua nuova app si integrerà nel cosiddetto «fediverso», un concetto molto caro agli accaniti sostenitori dell’«Internet aperto». L’idea di fediverso si basa sulla decentralizzazione delle app di social media e punta a rivoluzionare il modo in cui intendiamo il web. Come? Scardinando il vecchio paradigma che vede i social come universi chiusi, incapaci di comunicare tra loro ma abili nel “rinchiudere” l’utente all’interno di un unico recinto. 

Nella pratica, ciò accade grazie ad ActivityPub, una tecnologia (un protocollo di rete) che permette di rendere interoperabili i social network, collegandoli in unico grande sistema di condivisione dei contenuti. ActivityPub è stato progettato per consentire agli utenti di applicazioni diverse di visualizzare e interagire con i contenuti degli altri social, oltre che spostare la propria identità digitale da un servizio all’altro. Al momento la piattaforma più diffusa integrata al fediverso è Mastodon, di cui si era parlato molto in chiave anti-Twitter all’inizio di quest’anno. Si tratta di un’infrastruttura open source, gestita da un’associazione no-profit che, come altre app più piccole (vedi Lemmy o PeerTube), ripudia la natura chiusa di realtà quali YouTube o Reddit. 

Proprio per questo motivo, l’adozione di ActivityPub da parte di Meta non poteva che far storcere qualche naso. La costellazione di piccole community e di server che attualmente utilizzano il protocollo è caratterizzata da un’etica di condivisione e di apertura, lontana dalle logiche aziendali di un colosso multimiliardario che ha fatto della compravendita dei dati degli utenti il suo business principale. 

Pochi giorni dopo il lancio di Threads, un ingegnere informatico di Meta, Ben Savage, si è presentato a un gruppo di sviluppatori del World Wide Web Consortium, l’ente che gestisce ActivityPub. Il consorzio si stava preparando a questo momento da mesi, da quando erano emerse le prime voci che la compagnia aveva intenzione di aderire allo standard. 

Tra le mail di risposta a Savage, che si presentava e si diceva «davvero interessato a vedere come si svilupperà questo futuro interoperativo», ce n’è stata una, citata da Wired, piuttosto emblematica. Riportava il seguente testo: «L’azienda per cui lavori fa cose disgustose tra le altre. Danneggia le relazioni e isola le persone. Costruisce muri e attira le persone al loro interno. Quando questo non basta, lo fa la brutale pressione dei pari… Detto questo, benvenuto nella lista, Ben».

Apocalittici e integrati
Nel variegato mondo di geek e paladini della libertà di espressione che popolano il fediverso circolano sentimenti contrastanti. Una volta entrata a far parte del club, la nuova app di Zuckerberg sarebbe di gran lunga l’entità più grande della rete; molti dei primi a iscriversi a piattaforme come Mastodon, tuttavia, lo avevano fatto proprio per allontanarsi dai grandi colossi del web.

La discesa in campo di Zuck e ciurma rappresenterebbe però un grande banco di prova. Dimostrerebbe una volta per tutte la resilienza del concetto – e del protocollo – alla base del fediverso, oltre che la sua “scalabilità” (quanto è concretamente efficace in termini tecnici). Inoltre, renderebbe più attraente l’adesione a questo microcosmo da parte di realtà piccole, considerando la potenziale portata di un sistema che ingloba anche Threads.

Al tempo stesso, è comprensibile la preoccupazione di giocare nello stesso campionato di Meta. Del resto, la reputazione del colosso di Menlo Park ha subito alcuni gravi colpi nel corso degli anni: la raccolta massiccia di dati, lo scandalo Cambridge Analytica, l’attenzione eccessiva alla pubblicità e, non ultima, la stramba attitudine di un Ceo poco carismatico, piuttosto robotico e fin troppo impegnato a organizzare mirabolanti incontri di pugilato contro altri fantamiliardari piuttosto che gestire un’azienda da ottantamila dipendenti.

Malumori interni a parte, l’ultima parola spetterà a Meta: se la compagnia implementerà gli strumenti necessari per aderire al fediverso, difficilmente la si potrà fermare. Non sarà la salvezza di Internet come prefigura qualcuno, ma ne vedremo sicuramente delle belle. Tra queste, forse, anche il definitivo tramonto di Twitter. Chissà.

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