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Diciannove giorni di scontri senza zone franche, il Libano trema

Diciannove giorni di scontri senza zone franche, il Libano trema

Risale la tensione al confine tra Libano e Israele. Dopo un inizio di giornata relativamente tranquillo, ieri pomeriggio sono ripresi gli scontri: a Rmeich, Bani Hayyan, Tallusseh, gli attacci israeliani; Ibad, Kiryat Shmona quelli di Hezbollah. Al momento la maggior parte degli scontri è concentrata a ridosso del confine occidentale da entrambi i lati e nelle Fattorie Sheba’a contese tra Libano, Siria e Israele dopo l’occupazione da parte di quest’ultimo nel 1967.

DICIANNOVE GIORNI DI SCONTRI e molte sono le aree sulla restante parte del confine scenario di scambi d’artiglieria: non ci sono zone franche. Una scuola pubblica nel villaggio di Aita Sheab è stata colpita da un raid israeliano che non ha però causato vittime. In serata è stato colpito il paesino di Naqura sul Mediterraneo, che ospita il quartier generale della missione Unifil, nata oltre quarant’anni fa per contenere le dispute lungo la Linea Blu tra i due stati. Il portavoce Tenenti ha assicurato che «la base non è stata colpita e che la situazione è al momento stabile».

L’organizzazione internazionale per la migrazione (Oim), agenzia Onu, ha contato circa 20mila sfollati dal 7 ottobre a oggi nelle aree del sud del Libano interessate.

IL NUMERO DELLE VITTIME è di almeno quattro (tre soldati e una civile) dalla parte israeliana, e da quella libanese di 36 miliziani di Hezbollah, una decina di combattenti del Jihad islamico e di gruppi armati palestinesi, tre vittime civili, incluso il video-reporter Issam Abdallah colpito dall’artiglieria israeliana mentre assieme a sei colleghi di Reuters, Al-Jazeera e Afp si trovava a Alma al-Shaab.

I giornalisti erano tutti visibili, con giubbetto, elmetto e auto con la scritta press. Israele non ha ancora fornito chiarimenti sull’accaduto.

Il fronte politico interno è spaccato, soprattutto tra i cristiani. Il Libano è una repubblica parlamentare basata sulla confessionalità (18 confessioni religiose) dove i partiti sono in larga parte rappresentanza delle comunità – concentrate geograficamente in aree del paese o quartieri della capitale – attraverso un criterio formale e legislativo di appartenenza religiosa.

SE DA UN LATO IL PREMIER sunnita Mikati ricorda ogni giorno che il governo sta facendo di tutto per evitare la guerra – e in effetti è un continuo di incontri con i vertici dei paesi occidentali e dell’area -, il principale esponente dell’opposizione Geagea (cristiano), capo delle Forze libanesi, parla dei limiti nel contrastare la guerra e Hezbollah. Un messaggio al capo del Movimento patriottico libero Bassil (cristiano), alleato di Hezbollah, che aveva invitato tutti a «voltare pagina sulle divergenze e unirsi per il bene del paese».

Geagea è però rappresentante di quella forza che ha a viso aperto sfidato il 15 ottobre 2022 gli sciiti di Amal e Hezbollah negli scontri a fuoco a Tayyouneh, sulla linea verde che divideva la città durante la guerra civile (1975/90), infliggendo loro una sconfitta morale pesantissima.

IL «DOTTORE», come viene chiamato, non ha alcun interesse a far fronte comune con Hezbollah o con i suoi alleati.
Comincia a circolare un’aria di sfiducia, rassegnazione e paura per i rifornimenti. Il ministro dell’economia Salam ha sottolineato che le informazioni riguardanti un aumento dei prezzi causa guerra non sono veritiere e che il Libano ha scorte in abbondanza. Il rifornimento di carburante continua, ma a passo più lento, ha fatto sapere il portavoce delle Associazioni delle società importatrici di idrocarburi e che due navi cisterne sono attese nel fine settimana. Si spera non si creino le condizioni per un blocco navale.

IL LIBANO IMPORTA OLTRE L’80% dei beni primari e secondari. Il paese, che dopo la guerra civile aveva basato – e basa tutt’ora – la sua economia di stampo fortemente neoliberista sul terziario, è da quattro anni nella più grave crisi economico-finanziaria della sua storia. Bloccare, ritardare le importazioni creerebbe un’ulteriore crisi nella crisi.
Ciò che maggiormente fa paura è l’isolamento nel quale ci si troverebbe una volta chiuse le rotte marittime e d’aria – esiste un unico aeroporto civile – visto che oltre al mare il Libano confina con Siria e Israele. Nella guerra con Israele del 2006 la Siria era ancora una via di fuga.

Se la guerra al confine dovesse espandersi, sarebbe una catastrofe annuciata.

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