di Monica D’Ascenzo
Mariacristina Gribaudi. L’imprenditrice e, dal 2015, anche presidente dei Musei Civici di Venezia ripercorre la sua formazione tra fabbrica e sport guardando alle nuove generazioni
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«Non avrei mai potuto sopravvivere ai miei sei figli se non avessi lavorato». Una frase fra le tante in una conversazione fiume, che però coglie l’essenza di una donna dalle mille sfaccettature e di un’energia incrollabile. Mariacristina Gribaudi, classe 1959, presidente Fondazione Musei Civici di Venezia, imprenditrice e amministratrice unica Keyline e già membro dell’advisory Board di Federmeccanica.
A completare il quadro si può aggiungere: maratoneta e madre di 6 figli.
«Sono nata a Torino, terza di quattro figli, in pieno boom economico. Papà era tornato dal campo di concentramento a 20 anni dopo 2 anni e mezzo. Aveva percorso la distanza a piedi ed era arrivato con i piedi rovinati dai geloni. Non l’ho mai visto in tuta, tutta la dignità che gli avevano tolto lui la esprimeva anche nell’essere sempre in ordine» racconta Gribaudi, che della famiglia ricorda: «I miei genitori erano imprenditori: dalle cucine economiche sono passati alle cucine industriali e agli elettrodomestici. Nella mia infanzia ho sempre visto lavorare sia papà sia mamma, non c’era scelta. Quando ero piccola, ricordo che si occupava di noi una babysitter. Vivevamo al settimo piano di un palazzo che affacciava sulla fabbrica. Quando la mia sorellina si svegliava la babysitter tirava su la serranda e mia mamma capiva che doveva salire ad allattare e poi tornava al lavoro». Un modello di famiglia basato sulla condivisione e sulla capacità di fare squadra, nella convinzione che il lavoro sia un valore di per sé. «Il mio papà al posto di portarmi ai giardini Valentino, mi portava la domenica in fabbrica per farmi vivere il silenzio e il profumo di quel luogo. Era un uomo molto taciturno, che parlavano con il silenzio e la gestualità, come tanti allora. Mia mamma, invece, aveva la capacità di gestire famiglia e figli con il rigore tipico della loro generazione» ricorda Gribaudi, che aggiunge: «Papà conosceva Adriano Olivetti e Marisa Bellisario, due persone che hanno fatto la storia d’Italia e sono state un esempio. Da bambina non mi ha mai trattato da femmina, siamo tre sorelle e un fratello e abbiamo avuto le stesse possibilità. Io sono sempre stata trattata da persona. Mia mamma e mio papà non mi hanno mai detto che non potevo fare qualcosa perché ero una donna».
Valori e principi vissuti anche nel quotidiano in fabbrica con la lungimiranza di investire innanzitutto sulle persone: «Mio padre obbligava i suoi responsabili di ufficio a dedicare la prima mezz’ora di lavoro a leggere i giornali. Gli dicevano: ma li sta pagando per leggere i giornali. E lui rispondeva: lo sto facendo per educarli, la persona istruita alza l’asticella. Tutto questo porta poi alla crescita del fatturato come conseguenza».
La crescita di Mariacristina Gribaudi si divide fra il Nord Ovest e il Nord Est, di cui oggi riconosce il contributo alla sua formazione attraverso la composizione di due culture differenti. «Sono stata una bambina trasgressiva e un’adolescente ribelle, come è giusto che sia. Perché meglio esserlo a quell’età che dopo. Dobbiamo lasciare che i ragazzi sbaglino e mettano in discussione le regole. E dobbiamo portarli i giovani in azienda, perché portino innovazione. Hanno delle capacità che noi abbiamo perso con gli anni e sono una ricchezza che può farci guardare al futuro». E guardare al futuro in questa congiuntura di instabilità geopolitica, epidemie e guerre è complesso, per questo servono risorse nuove e una linfa vitale che ridia slancio anche all’Italia. «La mia generazione di casini ne ha fatti abbastanza e quindi ci dobbiamo impegnare per consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti un Italia migliore. Dobbiamo educare una generazione di maschi al rispetto della libertà di scelta delle donne. Dobbiamo insegnare loro che le donne possono guadagnare più di loro, che possono decidere di lasciarli, che hanno diritto alla loro autonomia e ad esprimere il loro talento. Hanno diritto di scrivere la loro storia» sottolinea Gribaudi con il calore di chi ha vissuto quell’autonomia e ha trovato la strada per la parità iniziando dalla propria famiglia: «Nel 2002 mio marito mi ha chiesto di andare a lavorare con lui e mi ha proposto di alternarci: 3 anni amministratore lui e 3 io, fino a 3 anni fa. Il pensiero era: se dovesse succedere qualcosa a uno di noi due, l’altro sarebbe in grado di gestire e portare avanti l’azienda. È stata una novità importante in un’impresa che la famiglia Bianchi, per 7 generazioni, aveva gestito al maschile, e che per la prima volta si trovava ad essere gestita da una donna, che per di più non era della famiglia». E l’accordo fra i coniugi prevedeva anche altro:
«Chi di noi non era in quel momento amministratore aveva un monte ore da usare per lo studio e abbiamo così fatto tutti e due un senior executive program. Quando l’ho fatto io eravamo 40 persone da tutto il mondo e solo 5 donne. Mi piace studiare, crearmi dubbi, non avere certezze. Non è che uno finisce la laurea e finisce di studiare. Se io non fossi stata un’eterna studentessa non sarei qua».
L’azienda di famiglia ora è entrata in una nuova fase. Mariacristina Gribaudi e il figlio sono amministratori di Keyline, mentre il marito Massimo Bianchi è il presidente della società. «Ora stiamo facendo un passaggio generazionale e vogliamo che avvenga in un momento in cui noi siamo ancora attivi e in grado di dare un contributo». Accanto all’impegno di imprenditrice Mariacristina Gribaudi ha assunto dal dicembre 2015 l’incarico di presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia che raccoglie undici siti museali, tra cui il Palazzo Ducale, comprensivi di oltre 200 mila opere d’arte e 2 milioni di reperti naturalistici. A chiamarla il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che stava cercando una persona che portasse un modello di business e il valore aggiunto dell’impresa in una istituzione pubblica. «I musei sono fabbriche e sono luoghi di apertura. L’ufficio del presidente l’ho aperto ed è diventato un luogo di brain storming. Appena arrivata in fondazione, poi, chiamo l’Unicef e abbiamo realizzato un progetto per creare spazi, prima degli ingressi ai musei, dedicati alle famiglie. Poi abbiamo portando il wifi nei giardino di Ca’ Rezzonico e abbiamo creato dei coworking, facendo diventare amico un museo, che deve essere uno spazio di contaminazione» sottolinea Gribaudi, che fra le altre iniziative ha aperto i depositi d’arte, ha fatto realizzare oltre tremila attività educative e ha messo a terra un progetto per mandare i direttori generali dei musei a fare lezione alle donne nelle carceri della Giudecca e poi quando escono le invita a visitare le sale. Perché «la chiave è la cultura», ribadisce. E a proposito di cultura, Gribaudi è anche presidente del Comitato di Gestione del Premio Campiello, composto da tutti imprenditori.
L’esempio anche in casa: «I miei figli sono cresciuti con una mamma che o faceva sport oppure aveva un libro in mano». E lo sport, insieme alla sua famiglia di origine, le ha insegnato la resilienza. «Per una mamma la maratona è la cosa più semplice da fare. Man mano che crescevano i figli avevo il più piccolo in passeggino e gli altri dietro in bici. Per loro sono sempre stata pronta a mettermi in gioco: quando avevano dai 5 ai 14 anni, andavo sotto il bay watch quando facevano il bagno perché non mi fidavo che il bagnino. Poi quando sono cresciuti, ho imparato a fare surf per stare con i miei figli» racconta Gribaudi, che ha avuto una lezione preziosa nello sport: anche in quello individuale si arriva al traguardo con il gioco di squadra. «Quando ho avuto una sciatalgia durante una gara, sono arrivata strisciando alla fine anche grazie alle persone che ho incontrato nel percorso». Le persone, di cui ci si circonda sono quelle che fanno la differenza e proprio per questo l’imprenditrice è consapevole che non si può avere un atteggiamento di chiusura rispetto a chi ha talento come e più di noi. E un altro stereotipo che rompe è quello della maternità, naturalmente: «Dalla mia esperienza di madre di sei figli, ho imparato che le donne vanno assunte nei momenti di difficoltà, perché hanno la capacità di essere in grado di supportare il cambiamento e di non identificarsi con il ruolo». Per questo è pronta a dare loro l’opportunità di dimostrarlo.
Il futuro riserva ancora molti progetti da realizzare e a guidarlo sarà una consapevolezza: «Per essere credibili, bisogna essere coerenti. È una cosa complicata a 64 anni essere coerenti, perché la vita ti porta a dover fare dei compromessi. Ma io voglio rimanere legata alla bambina che ero, che andava sull’altalena e cercava di toccare la punta delle montagne».
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Monica D’Ascenzo
redattrice
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