Nel 1958, il poeta e leader sindacale Abdoulaye Mamani di Zinder (Niger) vinse le elezioni nella sua regione d’origine contro Hamani Diori, uno dei fondatori del Partito Progressista Nigerino. Questo risultato elettorale pose un problema alle autorità coloniali francesi, che avevano scelto Diori per guidare il nuovo Niger. Mamani si candidò per il partito nigerino di sinistra Sawaba, una delle principali forze del movimento indipendentista e contro la Francia. Sawaba era il partito dei talakawa, i “comuni”, o del petit peuple, il “piccolo popolo”, il partito dei contadini e degli operai che volevano che il Niger realizzasse le loro speranze. La parola sawaba è legata alla parola hausa sawki, che significa essere liberati dalla miseria.
Il risultato elettorale fu infine annullato e Mamani decise di non ricandidarsi perché sapeva che il sistema si era rivolto contro di lui. Diori vinse la rielezione e, nel 1960, divenne il primo presidente del Niger.
Nel 1959, il partito Sawaba fu bandito dalle autorità e Mamani andò in esilio prima in Ghana e in Mali, poi in Algeria. Nella sua poesia Espoir (“Speranza”) scrisse: “Rompiamo la rassegnazione”. Mamani tornò a casa dopo che nel 1991 il Niger era tornato alla democrazia. Due anni dopo, il Niger tenne le sue prime elezioni multipartitiche dal 1960. L’appena rifondato Sawaba ottenne solo due seggi. Nello stesso anno, Mamani morì in un incidente stradale. La speranza di una generazione che voleva liberarsi dalla morsa neocoloniale della Francia è espressa nella splendida frase di Mamani: Rompiamo la rassegnazione.
Il Niger si trova nel bel mezzo del Sahel africano, la regione a sud del deserto del Sahara. La maggior parte dei Paesi del Sahel è stata sotto dominio francese per quasi un secolo prima di uscire dal colonialismo diretto nel 1960; successivamente scivolò però in una struttura neocoloniale che ancora oggi rimane in gran parte in vigore. Nel periodo in cui Mamani tornò in patria dall’Algeria, Alpha Oumar Konaré, compagno marxista ed ex leader studentesco, vinse le elezioni presidenziali in Mali. Come il Niger, il Mali era oppresso da un debito criminale (3 miliardi di dollari), in gran parte accumulato durante il governo militare. Il 60% delle entrate fiscali del Mali veniva destinato al servizio del debito, il che significa che Konaré non ebbe mai la possibilità di costruire un’agenda politica e sociale alternativa. Quando Konaré chiese agli Stati Uniti di aiutare il Mali a far fronte a questa crisi permanente del debito, George Moose, l’assistente segretario di Stato statunitense per gli affari africani durante l’amministrazione del presidente Bill Clinton, rispose così: “La virtù è la sua propria ricompensa”. In altre parole, il Mali doveva pagare il debito. Konaré lasciò l’incarico nel 2002, sconcertato. L’intero Sahel era sommerso da un debito impagabile, mentre le multinazionali traevano profitto dalle sue preziose materie prime.
Ogni volta che i popoli del Sahel si sono insorti, venivano repressi. Questo è stato il destino del presidente del Mali Modibo Keïta, rovesciato e imprigionato fino alla sua morte nel 1977, e del grande presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, assassinato nel 1987. È la condanna che è stata inflitta ai popoli dell’intera regione. Oggi, ancora una volta, il Niger si muove in una direzione che non piace né alla Francia, né ad altri Paesi occidentali. Vogliono che i Paesi africani confinanti inviino i loro militari per riportare “l’ordine” in Niger. Per spiegare cosa sta accadendo in Niger e in tutta la regione del Sahel, Tricontinental: Istitute for Social Research e l’Assemblea Internazionale dei Popoli AIP presentano L’Allerta Rossa n. 17 che porta il titolo No all’intervento militare contro il Niger che potete leggere qui sotto.
L’11 agosto 2023, Philippe Toyo Noudjènoumè, segretario generale del Partito Comunista del Benin, ha scritto una lettera al presidente del suo paese ponendo delle domande semplici, ma precise: “Quali interessi hanno spinto il Benin a entrare in guerra con il Niger al fine di affamare la popolazione “sorella”? L’attuale governo vuole impegnare il popolo del Benin in un soffocamento del popolo nigerino per rafforzare gli interessi strategici della Francia?” E poi continua: “Chiedo che lei si rifiuti di coinvolgere il nostro Paese in qualsiasi operazione aggressiva contro la popolazione sorella del Niger e ascolti la voce del nostro popolo – per la pace, l’armonia e lo sviluppo dei popoli africani”.
Attualmente, proprio questo è lo stato d’animo della regione: il coraggio di affrontare le strutture neocoloniali che impediscono la speranza. Ma i popoli africani stanno rompendo la rassegnazione.
Con affetto,
Vijay
Perché nella regione del Sahel sta crescendo il sentimento antifrancese e antioccidentale?
Dalla metà del XIX secolo, il colonialismo francese ha attraversato l’Africa settentrionale, occidentale e centrale. Nel 1960, la Francia controllava quasi cinque milioni di chilometri quadrati nella sola Africa occidentale, cioè otto volte la superficie della Francia stessa. Sebbene in quell’anno i movimenti di liberazione nazionale dal Senegal al Ciad avessero ottenuto l’indipendenza dalla Francia, il governo francese mantenne il controllo finanziario e monetario attraverso la Comunità finanziaria africana o CFA (ex Comunità coloniale francese d’Africa), imponendo la valuta francese CFA nelle ex colonie dell’Africa occidentale e obbligando i Paesi che avevano conquistato l’indipendenza formale a mantenere almeno metà delle loro riserve di valuta estera nella Banque de France. La sovranità non era stata limitata solo da queste catene monetarie; quando emergevano nuovi progetti politici, economici e sociali nell’area, la Francia interveniva immediatamente per bloccarli (in modo spettacolare con l’assassinio di Thomas Sankara del Burkina Faso nel 1987). La Francia ha mantenuto le strutture neocoloniali che permettono alle aziende francesi di sfruttare le risorse naturali della regione (come l’uranio in Niger, che alimenta un terzo delle lampadine francesi) e che costringono questi Paesi a schiacciare le loro speranze attraverso un’agenda politica di debito-austerità guidata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Il risentimento covato contro la Francia è cresciuto dopo che nel 2011 l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) ha distrutto la Libia e ha così “esportato” l’instabilità in tutta la regione del Sahel. Gruppi secessionisti, contrabbandieri trans-sahariani e propaggini di Al-Qaeda si sono uniti per scendere verso il sud del Sahara e conquistare quasi due terzi del Mali, gran parte del Burkina Faso e alcune zone del Niger. L’intervento militare francese nel Sahel attraverso Operazione Barkhane (2013) e la creazione del progetto neocoloniale G-5 Sahel hanno portato a un aumento della violenza da parte delle truppe francesi, anche contro i civili. Il progetto di indebitamento e austerità del FMI, le guerre dell’Occidente in Asia occidentale e la distruzione della Libia hanno portato a un aumento delle migrazioni in tutta la regione. Invece di affrontare le radici del problema, l’Europa ha cercato di esternalizzare le sue frontiere meridionali nel Sahel attraverso misure militari e di politica estera e vendendo tecnologie di sorveglianza illegali ai governi neocoloniali di questa fascia dell’Africa. Il grido “France, dégage!” (“Francia, vattene!”) riassume l’essenza dell’attuale agitazione di massa contro le strutture neocoloniali che cercano di strangolare il Sahel.
Perché negli ultimi anni ci sono stati così tanti colpi di Stato nel Sahel?
Nel corso degli ultimi trent’anni, la politica nei Paesi del Sahel si è gravemente essiccata. Molti partiti con una storia che risale ai movimenti di liberazione nazionale e persino ai movimenti socialisti (come il Parti Nigérien pour la Démocratie et le Socialisme-Tarayya del Niger) sono crollati diventando rappresentanti delle loro élite, che, a loro volta, sono portatori di un’agenda occidentale. L’ingresso delle forze contrabbandiere di Al-Qaeda ha dato alle élite locali e all’Occidente la giustificazione per comprimere ulteriormente lo spazio politico, riducendo le già limitate libertà sindacali ed eliminando la sinistra dai ranghi dei partiti politici consolidati. Il problema non è tanto che i leader dei partiti politici tradizionali siano ardentemente di destra o di centro-destra, ma che, indipendentemente dal loro orientamento, non hanno nessuna reale autonomia e sono ancora subordinati alla volontà di Parigi e di Washington. Sono diventati – per usare una parola spesso pronunciata in questi Paesi – “tirapiedi” dell’Occidente.
In assenza di strumenti politici o democratici affidabili, i settori rurali e piccolo-borghesi marginalizzati dei Paesi del Sahel si rivolgono ai loro figli nelle forze armate dei centri urbani. Personaggi come il militare e presidente ad interim del Burkina Faso Ibrahim Traoré (nato nel 1988), cresciuto nella provincia rurale di Mouhoun e che ha studiato geologia a Ouagadougou, e il colonnello del Mali Assimi Goïta (nato nel 1983), originario della città mercato del bestiame e ridotta militare di Kati, hanno iniziato a rappresentare sempre di più queste ampie frazioni di classe. Le loro comunità sono state completamente emarginate a causa dei duri programmi di austerità del FMI, del furto delle loro risorse da parte delle multinazionali occidentali e del finanziamento delle guarnigioni militari occidentali nel Paese. Esclusi e senza una vera e propria piattaforma politica che parlasse per loro, ampi settori del Paese si sono uniti dietro le parole d’ordine patriottiche di questi giovani militari, a loro volta spinti da movimenti di massa, come per esempio i sindacati o le organizzazioni contadine. È per questo che il colpo di Stato in Niger viene difeso con manifestazioni di massa dalla capitale Niamey fino alle più piccole e remote città che confinano con la Libia. Questi giovani leader non arrivano al potere con un programma ben elaborato. Tuttavia, hanno un certo livello di ammirazione per persone come Thomas Sankara: Il capitano Ibrahim Traoré del Burkina Faso, ad esempio, indossa un berretto rosso come Sankara, parla con la sua franchezza di sinistra e imita persino la sua dizione.
Ci sarà un intervento militare filo-occidentale per rimuovere il governo del Niger?
I Paesi occidentali hanno subito condannato il colpo di Stato in Niger, in particolare la Francia. Il nuovo governo nigerino, guidato da un civile (l’ex ministro delle Finanze Ali Mahaman Lamine Zeine), ha esatto dalle truppe francesi di lasciare il Paese e deciso di interrompere le esportazioni di uranio verso la Francia. Né la Francia, né gli Stati Uniti – che ad Agadez (Niger) hanno costruito la più grande base di droni del mondo – sono intenzionati a intervenire direttamente con le proprie forze militari. Già nel 2021, in Mozambico Francia e Stati Uniti avevano protetto le loro rispettive compagnie private TotalEnergies ed ExxonMobil chiedendo all’esercito ruandese di intervenire militarmente. L’Occidente ha chiesto alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) di invadere il Niger, ma le mobilitazioni di massa negli Stati membri dell’ECOWAS, comprese le condanne pubbliche di sindacati e organizzazioni popolari, hanno impedito l’intervento da parte delle “forze di pace” dell’organizzazione regionale. Il 19 agosto poi, l’ECOWAS ha inviato una delegazione per incontrare sia il presidente deposto del Niger, sia il nuovo governo. I Paesi dell’Africa occidentale hanno mantenuto le loro truppe in stand-by, avvertendo di aver scelto un D-Day non rivelato per un intervento militare.
L’Unione Africana (UA) inizialmente aveva condannato il colpo di Stato e sospeso il Niger da tutte le attività dell’UA; recentemente però ha dichiarato che un intervento militare non dovrebbe avere luogo. Questa dichiarazione non ha impedito che si diffondessero voci, come quella secondo cui il Ghana potrebbe inviare le proprie truppe in Niger (nonostante l’avvertimento della Chiesa presbiteriana del Ghana di non intervenire e la condanna di una potenziale invasione da parte dei sindacati). Inoltre, i Paesi limitrofi hanno chiuso le frontiere con il Niger.
Nel frattempo, i governi del Burkina Faso e del Mali hanno inviato truppe in Niger e dichiarato che qualsiasi intervento militare contro il governo nigerino sarà considerato come un’invasione dei loro Paesi. È in corso una seria discussione sulla creazione di una nuova federazione nel Sahel che comprenda Burkina Faso, Guinea, Mali e Niger – quattro paesi che insieme contano oltre 85 milioni di abitanti. Le voci tra le popolazioni dal Senegal al Ciad suggeriscono che questi potrebbero non essere gli ultimi colpi di Stato in questa importante fascia del continente africano. E la crescita di piattaforme politiche e sociali come per esempio quella dell’Organizzazione dei popoli dell’Africa occidentale WAPO è fondamentale per il progresso politico della regione.
*Traduzione della trentaquattresima newsletter (2023) e dell’Allerta Rossa n. 17 di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.
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